g. nocera
“se il sogno avesse residenza in questi tempi avari di poesia, l’artista fabio de donno ne sfumerebbe i tratti, consegnandoci un universo globale dove i particolari vengono salvaguardati come patrimonio d’identità”?

la teiera di mary poppins
di domenico saponaro

fabio de donno è anche un illustratore. parto da questo, per parlare dei suoi dipinti.
è una pittura che si qualifica immediatamente per la forte valenza grafica; vale a dire per la preminenza del disegno quale fattore fondante del quadro, con l’immediatezza e la sottigliezza di un tratto che nel nascere dell’opera rende presto visibili i primi elementi di una scena che si definirà nella sua articolata completezza.
è l’atto del soccorrere la parola e completarla, raffigurare storie altrui o, nel nostro caso, narrare per immagini esperienze proprie: dare forma-colore-sembianze a cose-luoghi-esseri nel loro scaturire dalla fantasia dell’artista.
attraverso i suoi quadri, appunto, de donno racconta storie sue, dove lo spirito autobiografico è ben celato, anzi sommerso dalle sue stesse creature; ed è uno sgorgare di buffi personaggi, tanti, che popolano e sorvolano un mondo fiabesco fatto di buffe case, tante, e lune e soli e stelle; situazioni rese paradossali e, anche per questo, accattivanti grazie a spiazzanti fuori-scala, sproporzioni, contrasti cromatici, ossimori visivi.
come dalla borsa di mary poppins o dalla lampada di aladino, così dalla teiera (e da altri contenitori) di fabio de donno viene fuori di tutto, in un susseguirsi incessante e sorprendente: geni bizzarri, strani oggetti e animali variopinti che si librano nell’aria, si reggono in improbabile equilibrio, capovolgono sé stessi o l’intera scena.
è il mondo all’incontrario, un capovolgimento carnevalesco con la festosità multicolore di saltimbanchi e acrobati volteggianti tra coriandoli e stelle filanti, sullo sfondo di traballanti paesaggi mutuati dall’iconosfera infantile.
sotto l’aspetto compositivo, il dipinto di de donno è spesso caratterizzato da un elemento principale e strutturalmente portante (appunto la teiera, o un cappello a cilindro, una case, una nave, eccetera: direi l’idea originaria dell’opera) che genera componenti narrativi minori, numerosi e moltiplicati come per gemmazione.
un contrasto, questo, evidenziato dall’artista anche sul piano ancor più strettamente formale ed esecutivo, dal momento che alla minuziosità della sezione più “affollata” del quadro si contrappongono campiture più ampie – non solo per gli sfondi – con passaggi di colore meno descrittivi, più densi e stratificati.
il tutto pervaso – o meglio, animato da un lirismo sognante dai tratti giocosi e incantati, talvolta venato di malinconia: quella poesia lieve e vibrante che ci riconduce, non senza un velo di nostalgia, al mondo immaginifico della nostra infanzia.

franco ventura
quando l’idea che sulla tela, per mezzo d’impasti cromatici si fa forma, è sostenuta da sapienti sforzi creativi, il più delle volte riesce ad offrire frammenti d’emozioni anche al più distratto degli osservatori.
schegge di luce,come sfavillanti pensieri deflagrati all’improvviso dagli anfratti più reconditi della memoria, si librano festosi nelle fiabesche atmosfere pittoriche di fabio de donno.
la fantastica costellazione di elementi compositivi che l’artista dissemina diligentemente nei suoi dipinti, si fa musica struggente, danza silente, gioco vibrante di ritmi cromatici che cercano –rabdomanti del nulla- l’arteria remota dove pulsò quel tempo lontano e dolcissimo, etereo e sublime della nostra infanzia; dei nostri primi incontri, sepolti come fossili nel covo dei ricordi, e più che mai vivi nel grigio dipanarsi di questi giorni incrostati d’effimero.

matteo de donno
tintaci tinteci ticitindà,
papio, bello, ciau.
cchomma, no no no, taaaazi.
auuh! caaaa, caaaa, pochieu, pochieu
ape oooh!
scìu, rrrrrrrrr…
nnènne, nnènne!
pella jo jo.

ciau

fabio de donno
le mie rappresentazioni sono un trittico di pittura, illustrazione e arte umoristica, i tre settori nei quali opero e che spesso convivono nei miei lavori.
un filo conduttore onirico-surrealista inserisce i miei tanti personaggi buffi in mondi da fiaba, dove tante lune, tante stelle, tante nuvole e omini volanti, esplodono da contesti strutturali e ambientali come case, barchette di carta, finestre, ecc.
il tutto si concretizza grazie ad importanti dosaggi tecnici dove l’acquerello, l’acrilico e la semplice grafite, spesso volutamente a vista, costruiscono i miei mondi.
per raggiungerli basta aggrapparsi al filo di un palloncino, alla coda di un aquilone o cavalcare una nuvola. buon viaggio!

nel mondo di morfeo
di silvia de donno

etichettare l’arte di fabio de donno significa renderla pesante, toglierle tutta “l’insostenibile leggerezza dell’essere”. i suoi quadri sono ipnotici, i suoi spettatori ideali sono i bambini, piccini o adulti che siano. il potere di queste immagini sta proprio nel catturare l’inconscia parte, il pascoliano “fanciullo” che è in noi. è proprio da questa nicchia dell’anima che segni e disegni si srotolano in una danza. personaggi da fumetto, cose, case ed animali prendono forma, si compongono e odorano della stessa pasta dei sogni. come nel sogno si mescolano bizzarri gli elementi del reale, così le opere di de donno sono il cilindro del mago che contiene ogni mirabilia.
l’impatto tra grafica e pittura è funambolico, sospeso fra terra e cielo con l’obiettivo di evolversi verso nuovi slanci. mantenendo il suo tratto inconfondibile, questo artista salentino “assapora” tutti i materiali e supporti disponibili sempre in continua ricerca; scevro di argini viaggia con disinvoltura fra illustrazione, pittura ed arte umoristica con la libertà di chi sogna.

augusto cavalera
intrecci di fantasie e favole. osando una realtà diversa…

“…quel che più mi provoca ed intriga è il dissenso dai giorni pigri, mescere le distanze per ritornare a r-esistere…”

sandra spennato
il nuovo artista in cui incappo, o meglio in cui incappa la mia vista, le mie emozioni, è un artista che tranquillamente posso definire “magico” e mentre guardo i suoi quadri penso – “ma esiste veramente?” – sembrano illustrazioni per racconti, per fiabe, sogni colorati. ho appena deciso che spazioarte si farà guidare dalle opere e non dagli artisti. le opere di de donno risvegliano immagini lontane di affetti, di cose e casette colorate, giochi, atmosfere infantili, tutte sensazioni care, intime e diverse fra loro ma rievocazioni uguali per tutti. scene di vita quotidiana, tra cielo e mare su cartone, su legno che con colori caldi e tecnica mista tolgono al quotidiano la realtà e catapultano il suo essere, e quello di chi le guarda, nei sogni eliminando la spazialità, il tempo, il brutto, la staticità. tutti i personaggi, le cose fluttuano da sopra a sotto senza grigiore, senza razionalità. tutti quelli a cui ho chiesto mi hanno dato la stessa risposta – sensazioni lontane, frammenti di vita vissuti o sognati.

chiamo de donno e mi aspetto il mago dei colori. il mago delle casette e delle cose fluttuanti. ci vediamo e l’incanto si spezza. non ha l’aspetto misterioso, non ha neppure un grembiule macchiato di colori. de donno è proprio un tipo normale. mi dico che non può essere un tipo qualunque, provo ad approfondire. niente. risposte normali, famiglia normale, problemi normali. da qualche parte nasconde qualcosa che lo trasforma in un artista arlecchino poiché le sue opere oltre che belle sono molto ironiche. la sua facciata è in realtà una retro-facciata. vado a casa sua a vedere i quadri dal vivo e a risolvere il mio enigma. ma non ci sono due de donno. colgo la sua generosità d’animo, la sua dolcezza, negli altri quadri, non in vendita. mi dice – sono delle pareti oramai – e vedo che il suo percorso si è arricchito di una luce che non è luce ma colori, colori e colori. la base però è uguale per tutti, tonalità diverse del blu. questo è il colore della pace interiore, dell’equilibrio, della serenità. non sto più a cercare ragioni. non m’importa se ti trasformi, se dentro ti lasci un po’ di fanciullezza, se le tue emozioni disegnano realtà fantastiche. l’importante è, fabio, che tu ora sia così, l’importante è che tu riesca ancora – e sempre – a farci sognare.

Fabio De Donno: “pittura fra realtà e sogno”
Fabio De Donno è artista capace di veicolare in immagini un suo mondo poetico, che, si concretizza sulla tela grazie ad una perfetta simbiosi fra colore e segno.

Opere, le sue, dove emergono elementi che caratterizzano un impianto compositivo, individuato sempre in una profondità di sentimento e di penetrazione, nella conoscenza e nella rivelazione, in grado di svelare i contenuti all’osservatore, necessari per una immediata leggibilità.

Complessivamente, l’opera dell’artista, si presenta come un contenitore di immagini prese in prestito dal mondo reale, elaborate con grazia ed equilibro grafico – pittorico. Attraverso queste peculiarità, egli riesce a dar vita ad opere che si svelano in tutta la loro poetica, capace di visualizzare un mondo di immagini che, pur appartenendo alla realtà, ne travalicano i confini per invadere la sfera onirica, dove realtà e sogno trovano asilo.

Non sfugge all’occhio attento del fruitore l’originalità e l’autonomia nei confronti di altre esperienze artistiche, che gli consentono di individuare una propria cifra espressiva. La sua pittura è originata da un perfetto equilibrio colore – segno, dove quest’ultimo risulta fondamentale in opere costruite e impaginate con rigore professionale, dall’ampio respiro poetico, in grado di immergerci in atmosfere fiabesche. Quanto detto, non è cosa da poco, se si tiene conto che al mondo d’oggi il successo di un’artista o di una corrente, dipende dall’originalità del messaggio e dalla capacità di farlo apprezzare dal pubblico e dalla critica. L’arte di Fabio De Donno assolve pienamente tale compito.

angoli di scuola (per fabio de donno)

palloncini di colore

corrono per strade sbiadite

e nuvole di coriandoli

inseguite da matite spuntate

giocano a carnevali di risa.

barchette e aerei di carta

tracciano le rotte divertite

per animare fate e orchi

con pennacchi di pace.

un’eco segrega il cuore

nel cantuccio profumato di merenda:

lontano s’agitano gli anni

e dell’aquilone del sogno

neppure il filo per ricordare.

il funambolo
di silvia de donno

de donno è come un equilibrista: sospeso fra terra e cielo. ci prende per mano, ci accompagna nelle sue visioni ubriache, ci investe di un’onda di cose, personaggi e animali che ci fluttuano accanto. in bilico ci affacciamo dai suoi quadri e vediamo i suoi sogni funambolici. questi sogni attingono dalle favole che atavicamente ci portiamo dentro e diventano anche i nostri sogni. questo mondo galleggia in una musica senza suono, in un tempo senza tempo, giocondo e fanciullo, per questo eterno e inattaccabile.
se pur fabulistico il suo stile non ammicca lezioso nè si gela in grottesche icone, ma si fa vivo e pulsante. l’equilibrista ondeggia sognante come un palloncino ma è retto dal pugno stretto di un bambino.

le variazioni implicite
di carmen de stasio

Incastrati tra la (tras)figurazione del reale e la materia dell’immaginazione, le multiformi opere di Fabio De Donno si configurano in una sintesi complessa di cartoon, poesia visiva e collage di fulminei voli fantastici.
Favoleggiante pur contraendosi in situazioni inglobate in una realtà che media dal sogno, l’artista esplicita una metafora mutevole dai colori che vivacizzano una condizione attenta, dal carattere puntuale e fortemente intellettuale. Per ciascun aspetto con il quale si confronta l’artista garantisce una presenza decisiva perché l’osservatore possa sentirsi parte integrante dell’opera stessa, come interprete di segni non detti, inconsueti, enigmatici, assurdi. A tal riguardo gioca un ruolo rilevante una scrittura che è essa stessa linguaggio tecnico specifico che coglie all’unisono l’impeto onirico-immaginativo con il desiderio di illimitate conversazioni con un dentro-fuori costante, nel quale né spazio né tempo, né vistose, supponenti e rigorose esplicitazioni trovano collocazione logica. Nell’incessante e fragoroso gioco di immagini la didascalia che accompagna ogni creazione mira a rendere labirintica l’interpretazione degli atti che compongono le simulazioni per allontanarle da un presunto verismo narrativo. Ne risulta una compostezza ironica che filtra attraverso la semplicità della forma pensata e realizzata mediante l’intervento strategico di microstrutture, commistioni, misurazioni intrecciate in un collage mimetico, in cui la natura compare come condizione condizionata, resa artificiale nel cromatismo gioioso e deciso insieme, soprattutto per la simultaneità nella visione.
L’accesso facilitato al mondo della creatività deve molto alla specialità grafica dell’artista – ottimo e ricercato fumettista – il quale integra le sue elaborazioni con l’assimilazione e la manipolazione percettiva del visto-vissuto-pensato. Ancora, dalle arti visive – prime tra tutte il cinema – egli media la sovrapposizione di momenti come applicazione di una conoscenza semiologica, quale ricerca psicologica in riferimento ai soggetti che si animano nella plasticità del momento di meditazione e che al contempo rifuggono da un’ossequiosa manifestazione del vero nel vero.
Si tratta di un vero e proprio linguaggio dell’abbondanza di significanti, che lascia in sospensione la categorizzazione dell’espressione e che, pertanto, risulta intellettuale e non infantile nella versatilità sottolineata dall’uso dei materiali diversi che intervengono a confrontarsi con le forme dell’opera. Dalle condensazioni visive di Fabio De Donno scaturisce la sensazione di una nuova geografia di luoghi ed soggetti che condizionano – consapevolmente o no – l’attualizzazione delle circostanze, che conferisce al nuovo contesto una vibrazione dalla logicità unica.
Tutto dunque assolve alla recitazione di un attimo che si conclude nella definizione di una macchina che affonda le radici nell’osservazione delle tematiche sociali, ambientali, riconducibili ad istanti ed eventualità definibili come anti-artistici per la presenza di esasperate geometrie dalla prospettiva personalissima. Sono questi tratti che Fabio De Donno confeziona in una nuova gradualità esistenziale, tanto da dividere in livelli intersecanti e contigui a-prospettici la sua opera, in cui similmente convivono situazioni mimetiche del reale, segni di dissacrazione e un’esagerazione cromatica pungente e invadente che mira a calibrare nuovi equilibri nell’incessante interazione-mescolanza di sensibile ed emozionale.
Anche la rifinitura esterna – ivi compresa la cornice – risponde ad una pura e semplice esigenza formale e non trattiene l’idea, tanto da indurre a definire il quadro come scenetta di poesia stilizzata, rumorosa, anti-statica e anti-celebrativa. Anti-poetica e anti tutto ciò che possa scadere in reverenze e venga a turbare il senso di libertà che scaturisce da una sottile complicità degli elementi contenutistici, complementari-dissonanti, che in ogni caso nientificano la retorica mediante l’investigazione di situazioni lasciate in autonomia per interagire con la variabilità degli ambienti.
L’osservatore che vaga alla ricerca di segnali e messaggi chiarificanti viene dunque spiazzato da una strategia che assolve al desiderio di portare l’individuo a misurarsi sempre con gli opposti, nell’avvicendamento di momenti significativi configurati come storie ordinarie che assalgono la tela e lo sguardo per divenire arte corrispondente ad un atto intellettuale di manipolazione del vero trasmigrato in nonsense.

Mosco Simona #21 grammi

Jackson Pollock diceva che ogni buon artista dipinge ciò che è.

La tua arte è una forma di magia che ci fa traslare da questo mondo, talvolta ostile.

La tua arte ci permette di credere ancora che tutto esiste. Come i draghi e le fate. Come la meraviglia, lo stupore e la felicità.

Grazie per l’alchimia che ci regali.